IL RECUPERO DEI RESIDUATI BELLICI 1a PARTE |
|
La parola "RECUPERO" non era nuova al vocabolario
italiano,
alla tradizione contadina e in campo militare, ma mai come in corso e
post 2° conflitto assunse un valore così importante. Nella
Grande Guerra (15-18) un vero e proprio recupero iniziò ad armi fumanti,
prima ancora che fossero predisposti i grandi cimiteri/ossari di guerra.
Il lavoro di recupero si estese ben presto anche ai resti dei soldati
caduti e alle ossa di animali. In tali termini il pietoso lavoro
si incrociava con i mille piccoli imbrogli che avrebbero potuto
escogitare coloro che su quel mercato di morte ricostruivano la propria
vita. Nacque una classe lavoratrice detta dei "recuperanti" che pose
mano anche al ferro inerte che giaceva sopra e sotto la terra, inerte e
non quando erano bombe inesplose. Olmi dedicava poi un film a queste persone
http://it.movies.yahoo.com/i/i-recuperanti/index-351326.html
coi "Recuperanti". La ricerca e la raccolta dei residuati bellici produssero un
po' alla volta specifiche competenze, personali e di paese: i maschi
adulti si dedicavano al “picàr”, cioè a scavare per trovare le trincee,
i depositi e i proiettili di grosso calibro (Bombe) che generalmente venivano
disinnescati e tagliati sul posto se integri; bambini/e e ragazzi/e, dagli
8 ai
14 anni, andavano "alla spigola", in cerca delle schegge e dei
piccoli calibri; le donne, infine, dovevano provvedere a portare in
quota giornalmente il cibo e riportare a
valle il carico del ritrovato. In alta montagna il recupero continuerà
negli anni favorito dalla regressione dei ghiacciai. Mi
raccontava qualche anno fa un albergatore d'Asiago che mentre da giovane stava al pascolo continuava a raccogliere le cose più piccole che erano sfuggite
e che la natura ora stava ricoprendo e inglobando. Un grosso
rischio personale, sempre per bocca di valligiani, era il taglio di assi
da alberi in cui si erano insinuate schegge. Si recuperò
anche quanto l'esercito austriaco aveva abbandonato o fu costretto
a consegnare in conto debiti di guerra. Ma tutto questo non fu che la
centesima parte di quanto avvenne durante e dopo il II conflitto. La
differenza stava tutta nella tecnologia e nella meccanizzazione ora
giunta a livelli inimmaginabili. Non comprenderò in questi tre capitoli
i recuperi navali (per intenderci quelli da palombari) di cui darò
peraltro un breve cenno di seguito.
Viareggini per la maggior parte, i palombari si erano formati prima all’imbarco come mozzi (12 anni d’età) poi alla scuola del Varignano ( http://www.hdsitalia.com/articoli/26_scuola.pdf ) dove di leva prendevi qualche soldo in più con le immersioni. Il fattore stipendio era determinante, in un periodo di povertà diffusa. Eroi quindi per necessità incaricati di rimuovere vecchi relitti dalle imboccature dei porti o recuperare preziosi carichi ingoiati dal mare, facendosi largo fra le macerie a suon di cariche esplosive: così fu anche per i quelli dell’Artiglio, nave ammiraglia della So.Ri.Ma. (Società Ricuperi Marittimi, costituita a Genova nel 1926). Il recupero civile, come detto, spaziava dall’archeologico (navi Romane) al venale (lingotti d’oro) per finire al militare. Il loro primo leggendario recupero fu l’Egypt, transatlantico inglese di 8.000 tonnellate, affondato nel maggio del 1922 al largo delle coste bretoni (Brest) per collisione. Nella stiva quasi 8 tonn. d’oro e 40 d’argento a 130 metri di profondità. Il relitto viene localizzato il 29 agosto del 1930 dopo due anni di ricerche finanziate dai Lloyd’s, gli assicuratori disperati dell’indennizzo. L’inverno arriva presto e a quella latitudine in mare aperto non si può lavorare. Dopo le prime casse si ferma tutto. In attesa del bel tempo si lavora sotto costa per rimuovere il “Florence H.” dalla baia di Quiberon, un relitto della Prima Guerra Mondiale carico di esplosivo (150 tonnellate di munizioni) che ostruiva il passaggio sulla rotta di Saint-Nazaire. Non andò come previsto: il 7 dicembre il carico saltò in aria e con esso l’Artiglio (che giace su un fondale di 30 m), ma non la nave appoggio Rostro che recuperò 7 superstiti. Nel 1931 un secondo battello, l’Artiglio II, parte con altri palombari per proseguire l’impresa del recupero dell’Egypt che viene portata a termine con successo l’anno dopo. Era il 22 giugno quando i primi lingotti d’oro approdarono sul ponte dell’Artiglio II. E l’opera continuò quando nel secondo dopoguerra ci fu da liberare i porti e recuperare quanto più metallo possibile e rendere sicura la navigazione. Il grande capitolo dei recuperi terrestri (salvo la parentesi Dunkerque) era iniziato nella primavera del ’41 in Africa settentrionale quando ci si accorse che i capovolgimenti continui di fronte e le perdite in mare di scorte creavano un deficit di mezzi colmabile solo coi recuperi da entrambe le parti. Rommel, più degli inglesi (Repair and Salvage Unit R.E.M.E.), aveva a propria disposizione squadre d'officine campali che oltre a togliere dal campo i propri mezzi recuperabili, toglievano anche quelli del nemico e li rimettevano in strada. Dopo un po’ di tempo non si capiva più chi era il nemico e l'amico, tanto che si dovevano stendere delle bandiere sul cielo dei mezzi. Rommel stesso viaggiava su un mezzo inglese catturato a rischio di mitragliamenti aerei dei suoi, poiché non stendeva segni nazionali. Si disse che si accodasse alla colonne inglesi in ritirata e sostasse nottetempo al margine dei falò nel deserto senza essere scoperto. Quanto venne fatto in Africa, sul momento, non ebbe uguali in Europa sia per l’ambiente che per le occasioni che erano cambiate. L’entrata in guerra degli Usa aveva di colpo reso antiquato anche il materiale tedesco. Quello inglese lo era già da molto. Per i russi fu lo stesso. Viaggiavano su mezzi americani, ad esclusione del carro armato T34. Naturalmente il recupero continuò anche per singoli pezzi per scoprirne i segreti o replicarne i vantaggi, come fecero gli italiani in diverse occasioni (Daimler Dingo clonata con la nostra Lince e il Crusader col carro sahariano che non vide mai la luce). Il bottino di Dunkerque poi di Dieppe venne equamente diviso fra gli alleati dell’asse e questo la dice lunga sulla scarsa produzione che caratterizzò sempre il Reich e l'Italia. Coi residuati francesi gli italiani armarono un reggimento corazzato che non entrò mai in linea, era pericoloso a se stesso. Con la campagna d’Italia si cominciò intanto a liberare le strade di quello che cadeva da entrambe le parti schierate, ma più per sicurezza che per effettivo bisogno. Bisogna arrivare all'aprile del '45 per assistere al grande assalto quando a pistole fumanti fu chiaro che una grande prospettiva di sviluppo si sarebbe aperta in un paese che aveva conferito oltre all’oro, i tegami di rame e le cancellate. Di automezzi circolanti, dei pochi che avevamo non c’era rimasto praticamente nulla e lo stesso dicasi per i trasporti ferroviari. |
|
LE NAVI
LIBERTY |
http://www.ncmuseumofhistory.org/workshops/WWII/LibertyShips.htm
Each cargo ship measured 441 feet long and 56 feet wide. Two oil-burning boilers fed a three-cylinder, reciprocating steam engine, propelling the ship at a speed of up to eleven knots. The vessels could carry more than 9,000 tons of cargo in addition to transport airplanes, tanks, and locomotives lashed to their decks. They could carry 2,840 jeeps, 440 tanks, or 230 million rounds of rifle ammunition. Newspapers dubbed the ships “ugly ducklings,” and President Franklin D. Roosevelt called them “dreadful-looking objects.” Attempting to present a more positive image, the U.S. Maritime Commission referred to the ships as the Liberty Fleet and proclaimed September 27, 1941, the day the first fifteen ships were launched, Liberty Fleet Day. |
L’esigenza di avere vascelli adibiti al solo uso militare (Standard) era già una esigenza sentita prima della guerra che a tutti gli effetti veniva profetizzata. La prima commessa di 50 navi venne raddoppiata e di nuovo raddoppiata nel 1940. Con lo scoppio del conflitto e la guerra sottomarina l’Inghilterra aveva chiesto urgentemente un certo numero di navi e l’unico posto dove potevano essere costruite era il Nord America. Abbiamo detto standard perché molte delle navi avevano delle caratteristiche specifiche per il carico che trasportavano: carri armati, Aerei con le ali smontate, petroliere, costiere etc…. Non sto a descriverne i vari allestimenti e motori che troverete nel link http://en.wikipedia.org/wiki/Liberty_ship http://it.wikipedia.org/wiki/Liberty_%28navi_trasporto%29 . Le navi cominciarono ad entrare in servizio a partire dal 1942, e la loro massa fu tale da rendere alla lunga perdente la campagna degli U-boot. Le Liberty erano navi capaci, e realizzate in maniera tale che esse raggiungevano economicamente il loro scopo, semplicemente riuscendo a eseguire un solo trasporto a pieno carico. La costruzione economica di queste navi andava incontro una volta in mare a diversi inconvenienti. Una nave ogni 8 ebbe dei problemi con le saldature, una ogni 30 li ebbe di grave entità, ma successe addirittura che non meno di 5 affondarono spezzandosi in 2, specie nei climi freddi, quando l'acciaio si induriva e si fessurava con facilità. Parliamo di problemi nelle peggiori condizioni di carico e meteo. Vennero creati ex novo numerosi cantieri navali (sparsi lungo le coste) ed adottata la tecnica della prefabbricazione ed assemblaggio sfruttando la pratica della catena di montaggio, ma sopratutto la sostituzione della " saldatura" (era ancora sperimentale) a quella della "chiodatura". Il 27 Settembre 1941 uscì la prima nave battezzata "PatricK Henry". Per questa nave occorsero 350 giorni di lavoro. Dopo 2 mesi (Pearl Harbour) l’esperimento era diventato una stringente necessità. L’ultima costruita esce nell’ottobre del 1945. Ne vennero così costruite 2.710 !!!, numero enorme che aggiunte ai tipi anglo-canadesi portano il totale alla ragguardevole cifra di ben 3.063 unità. !!!!. Costruite come detto con l'intento di un uso breve ne affondarono 301 per cause diverse belliche. A fine guerra un certo stock rimase nelle rade degli Usa in attesa di una possibile ripresa della guerra. Le altre considerate obsolete o difettose prendevano la via del cannello ossiacetilenico. Negate in un primo tempo all’Italia (si privilegiavano i veri vincitori) alla fine anche noi, oltre a quelle da demolire, ne avemmo 162 da reimmatricolare nell’ambito del piano Marshall per la ripresa produttiva. Le merci ricominciavano a circolare e se non il mare come migliore strada. Parcheggiate nelle foci dei grandi fiumi americani, venivano mantenute efficienti in vista della guerra fredda. | |
Da http://www.scmncamogli.org/pagine/nliber_nar.htm
|
…Al tramonto il SESTRIERE finalmente salpò da
Genova e fece rotta per Baltimora-Stati Uniti. Il nostro gruppo,
appartenente all'armatore Achille Lauro, fu sistemato nei corridoi della
stiva n°4, a poppavia del cassero, in letti a castello da tre posti.
Alcuni tavolacci per il consumo dei pasti erano stati approntati nei
corridoi stessi, mentre per i servizi igienici ci dovemmo accontentare
d'alcune tughe di legno costruite in coperta e fornite d'acqua di
lavaggio in circolazione permanente, con scarico diretto in mare. La
fortuna ci diede una grossa mano. Considerando la stagione in corso, il
tempo fu eccellente ed il viaggio durò soltanto 14 giorni. - Portare a casa un lotto di 50 navi non era uno scherzo ci volevano 50 equipaggi e 50 comandanti. Emigranti occasionali si adattarono a un trasporto, il “Sestriere” per quel tempo inadatto e modesto in cambio di lavoro futuro. Al primo impatto con quella baia ricoperta di centinaia di Liberty ancorate ed affiancate a rovescio, (prora con poppa), ci venne naturale riflettere su quell'immensa produzione bellica ed alla presunzione di chi ci aveva governato per vent'anni e che non aveva minimamente stimato il patrimonio umano, la ricchezza, le capacità tecniche ed organizzative, di quella potenza economica che erano gli Usa di quel tempo. E ci fu subito un'altra sorpresa: ci aspettavamo, dato il basso costo d'acquisto della nave, d'imbarcare s'un residuato bellico quasi da demolire. Al contrario ci trovammo su una Liberty perfettamente funzionante, in ottimo stato di conservazione, perché era visibile, in ogni suo angolo, l'opera di una manutenzione accurata ed eseguita ogni giorno durante la sosta alla fonda. La nave era provvista di frigoriferi, ampie salette, cabine singole per gli ufficiali e doppie per la bassa forza. La strumentazione nautica: girobussola, radiogoniometro, eco-scandaglio, costituiva una novità assoluta per quell'epoca, ma quest'improvviso salto tecnologico era completato anche da una imponente bibliografia, efficiente, pratica ed innovativa come ad esempio le Tav. HO-214 che consentivano un rapido e preciso calcolo astronomico della posizione della nave. |
L’immagine di cui sopra è stata creata in territorio italiano ed è ora di pubblico dominio poiché il suo copyright è scaduto. Secondo la Legge 22 aprile 1941 n. 633, modificata dalla legge 22 maggio 2004, n. 128 articolo 87 e articolo 92, le foto generiche e prive di carattere artistico divengono di pubblico dominio a partire dall'inizio dell'anno solare seguente al compimento del ventesimo anno dalla data di pubblicazione. Nota: le fotografie considerate opere d'arte diventano di pubblico dominio dopo 70 anni dalla morte dell'autore. |
A.R.A.R. L'Azienda Rilievo Alienazione Residuati è l'ente cui il Governo di Unità Nazionale affidò il compito di vendere i beni ed i materiali bellici confiscati al nemico o abbandonati dall'esercito alleato al fine di rendere più agevole il ritorno in patria. Costituita sotto il governo Parri nell’ottobre del 1945 venne presieduta per oltre 13 anni dall’economista Ernesto Rossi. La sede ufficiale era a Caserta e molti depositi erano in Campania alimentati dalla lunga lotta alle falde di Montecassino. Il dinamismo e l'integrità morale di Rossi, consentirono all'A.R.A.R. di diventare uno dei primi "motori" della società italiana del dopoguerra, rappresentando una continua e concreta fonte di entrata per l'erario e, altresì, permettendo la distribuzione in tempi rapidi delle attrezzature utilizzabili e la trasformazione in materia prima dei materiali nobili di risulta. Migliaia di automezzi militari vennero convertiti all'uso civile o si creò, come nel caso della Lambretta, dalle demolizioni navali (carenature sottili) un nuovo mito italiano. A fianco l'autodromo di Monza trasformato in deposito dell'ARAR nel 1946. Di tale situazione anomala risentirono, oltre al manto stradale, anche i box, i vari fabbricati, le tribune. Il ripristino integrale dell'autodromo venne deciso dall'Automobile Club Milano all'inizio del '48. |
La prima grossa disgrazia a Canove avvenne nel
1920…Da allora non si contarono più le disgrazie che provocarono
mutilazioni e morti. Da questi tristi fatti il recuperare residuati andò
scemando fino al 1930 quando, forse per la grande crisi del 1929, c'era
necessità di reperire materie prime. Il rialzo dei prezzi e la
difficoltà di trovare occupazione, riproposero il mestiere del
recuperante che, attraverso le disgrazie, si andava affinando e divenne
un lavoro. Il recuperante partiva da casa armato di piccone e vagava per
prati e pascoli, per boschi e valli;ogni tanto sostava, guardava il
terreno e, scelto il luogo, incominciava a scavare, osservava il
terriccio, annusava la punta del piccone e decideva se continuare a
scavare oppure no. Ma se continuava il lavoro di scavo, certamente
uscivano dal terreno bombe intere o in frammenti… I recuperanti
lavoravano quasi sempre isolati, raramente in coppia: solo se
rinvenivano qualche zona molto ricca di materiale si associavano. Erano
gelosi del proprio bottino giornaliero. Parlavano con rara competenza di
granate italiane, tedesche , francesi ed inglesi con tutti i loro
calibri e funzioni: schrappnel a sferette di piombo (mml.10) o di ghisa,
dirompenti, perforanti, incendiarie , a gas e le maledette a Yprite. Un
buon guadagno era frutto delle corone di rame di forzamento delle bombe
da cui, venivano divelte a scalpello e martello. Un grosso problema era
dato dalle bombe inesplose che non si potevano vendere. Allora
escogitando una tecnica particolare per cui, con una carica di esplosivo
sistemata sulla bomba in quantità e posizione adeguate, riuscivano a
spaccare la bomba senza farla esplodere (in gergo “brillare”.
Necessariamente questo lavoro lo facevano in grotte , caverne e ruderi,
perchè c'era sempre il pericolo che qualche bomba brillasse provocando
il danno di un colpo di cannone di quel calibro ed anche più perchè è
notorio che l'esplosivo invecchiando diventa “irrequieto”e scoppia con
facilità e con maggior potenza. Nel 1935-1936 a causa delle sanzioni per
la guerra di Etiopia, la ricerca di residuati di guerra si intensificò
ulteriormente, i recuperanti demolirono dei fortilizi per recuperare
anche le putrelle ed il ferro da cemento armato.In quegli anni a Canove
successe un fatto significativo:un squadra di recuperanti del paese
volle recuperare le monumentali corazze del Forte Verena, divelte dai
bombardamenti austriaci e precipitate nei sottostanti roccioni, non per
venderle, ma per sistemarle nella piazza del paese a lato del monumento
ai caduti . Quando le bellissime corazze erano giunte in piazza a Canove,
per la faccenda “Oro alla Patria “, vennero degli specialistiche con la
fiamma ossidrica, le ridussero in pani maneggevoli e se le portarono
via. Dopo la guerra (40-45) dai campi ARAR saltarono fuori i ricercatori
magnetici o cercamine americani ed i recuperanti muniti di questa novità
ripresero il lavoro con più lena. Con questi rilevatori, impropriamente
battezzati RADAR, si perlustrava il terreno e quando l'apparecchio
passava sopra a metallo sepolto emetteva un suono in cuffia, ma faceva
scavare anche per una scatoletta vuota. Allora i recuperanti impararono
a riconoscere la qualità del fischio per individuare la presenza dei
vari metalli e la loro consistenza. Non tutte le bombe potevano essere
rotte con l'esplosivo ed allora qualche sconsiderato, pazzo o
coraggioso, tentava il disinnesco tecnico che consisteva nello svitare
la spoletta od il culatte contenente il detonatore, operazione resa
difficile dalla ruggine. A volte andava bene e si recuperava la bomba
intera con l'esplosivo interno, ma a volte l'uomo volava in cielo con la
nuvola dello scoppio. Ultimo atto del recupero: fino al 1950 -1960 e
oltre, tutti boscaioli, i cavatori di marmo, i contadini e tutta la
popolazione ha goduto di attrezzi di lavoro come segoni a mano, badili,
picconi, accette, mazzuoli,stampi da mina, carriaggi e filo spinato per
delimitare le proprietà, elementi componibili di baracche canadesi,
paletti di ogni genere a T a L a coda di porco, provenienti dal
recupero. Impensabile la quantità di paletti, di canne di fucile e di
mitragliatrice finita per armare il calcestruzzo per architravi di porte
e finestre. E quanti fucili furono “trapanati” cioè maggiorati di
calibro, per renderli fucili da caccia cal. 32 e cal. 28, specialmente
il “Manlicher” austriaco.
Museo della guerra di Canove
associazione alpini nella seconda parte dagli "Sherman" alle littorine della "Freccia del Garda" |
ERNESTO ROSSI (Caserta, 25 agosto 1897 –
Roma, 9 febbraio 1967)
|
|
Per saperne di più http://www.calypsosub.it/storia/la-decima-mas.html?Itemid=108 - http://www.nauticoartiglio.lu.it/palombari/WITN_sodini.htm |